Il coming out è stato efficacemente definito come “quel lungo, difficile e doloroso processo che va dal primo desiderio omoerotico alla dichiarazione della propria identità”.
Questo perché, sebbene l’omosessualità e le altre identità possibili oltre alla cis-etero-sessualità non siano più considerate delle patologie da curare, in Italia è rimasto un generale approccio di evitamento e disapprovazione verso alcune espressioni di genere o orientamento. Il coming out quindi è un processo difficoltoso non solo per i conflitti interni che esso produce ma anche per i pregiudizi che sono ancora presenti in alcuni contesti sociali. I fattori sociali che possono favorire o inibire il coming out sono: l’età, il genere, il contesto di vita, il livello di istruzione e l’educazione religiosa ricevuta.
Le persone più giovani spesso hanno difficoltà a fare questo passo con la propria famiglia per il timore di essere rifiutate e di deludere le aspettative dei genitori. La maggior parte delle volte il coming out è un’esperienza che si risolve positivamente, soprattutto se il clima familiare è aperto. Tuttavia possono esserci delle difficoltà iniziali da parte dei genitori nel comprendere che cosa stia succedendo (sensazione di fallimento, timore di perdere i figli, vergogna per quel che potranno pensare altri parenti); è importante non arrendersi e immaginare questo svelamento come un cammino da fare assieme: sia chi fa coming out che chi lo riceve deve comprendere che è tutto ok. Può capitare che un genitore reagisca in modo più negativo rispetto all’altro e ciò non deve scoraggiare, poiché, come è ampiamente documentato, il coming out in caso di successo rende la famiglia ancora più coesa e unita da legami solidi e autentici. Per la famiglia può essere positivo rivolgersi a persone esperte o amiche, nonché ad altre famiglie felici dopo un coming out per confrontarsi, porre domande, esprimere il proprio vissuto emotivo e creare un ambiente sereno di supporto reciproco.